Bert treffers
Philippe casanova , un pittore troppo poco maledetto Dal catalogo Magnificenze Vaticane , autore Alfredo Pergolizzi De Luca editori d ' Arte , Roma , 2008
IL ciclo pittorico del francese Philippe Casanova si dispiega in un percorso coerente che prende l ' avvio da Ponte Sant ' Angelo per concludersi nella visione di un frammento della Cathedra Petri , scenografica macchina barocca nella tribuna della Basilica San Pietro . E un cammino che va da Gian Lorenzo Bernini e a lui ritorna . Le sedici tele , e i relativi bozzetti, constituiscono un programma ben preciso . Non si tratta di un esemplicevagheggiare estetico da scorcio in scorcio, sulla scia di una moda post - impressionistica , bensi di un viaggio artyistico guidato da un occhio sapiente . E anche il linguaggio pittorico corrisponde a questa voglia di leggere le apparenze come segni che trasmettono , nella loro costruita complessità , un messagio ben preciso . Sembra un mondo capriccioso , quello che il pittore ha davanti a sé ; un mondo in cui le cose hanno perso la loro sostanza e tendono a evaporare ; un mondo che si disgrega sotto le pennellate nervose di una pittura in apparenza manierata , superficiale , in cui c ' è poco spazio per sentimenti profondi , una pittura anti - moderna , per non dire nostalgica e post - figurativa . Una pittura a prima vista volutamente e ostentamente retrograda , che vuole fare marcia indietro e dimenticare l ' arte considerata moderna , che con le sue ondate di avanguardia voleva rompere con il passato e ritrovare uno stato di cercata ed ebbra primitività . Nell ' opera di Philippe Casanova ci si trova dinanzi a un far pittura che non vuole rifiutare il passato ;è l ' esperienza di un esecutore che sa di appartenere a una lunga tradizione culturale e , perché no, anche spirituale . Un pittore che non vuole abolire il passato e inventare qualcosa di radicalmente nuovo, ma che compie lo sforzo di provare a leggere ciò che ha davanti a sé come parte integrante di se stesso ; la pittura di un pittore che non vuole fare tabula rasa e dimendicare , ma accettare e rinnovare la propria inculturazione nella tradizione europea e anche cristiana . Dobbiamo guardare con rispetto a questa scelta personale , e considerare che questa decisione trascina con se inevitabili conseguenze che si riflettono nella sua arte . Quando l ' insieme del ciclo si legge con la dovuta attenzione , diventa chiaro che la lingua pittorica di ogni singola parte corrisponde alla loro ragion d ' essere : Lo stile fa parte del contenuto . Contenuto e stile insieme provano a evocare un mondo rivissuto nella pur sempre valida attualità ; un mondo artistico che ha inventato una tecnica sperimentata ; un arte che serviva a comunicare l ' idea di se stessa . Nel primo dipinto nulla è stabile . Il ponte , i palazzi sull ' altra sponda del Tevere , e anche la ben solida Basilica di San Pietro : tutto è obliquo . Gli angeli a sinistra , sulle loro basi inclinate , sonotanto quanto le nuvole che con la loro livida e lattea impronta bluastra sembrano essere della stessa sostanza della cupola michelangiolesca , sullo sfondo .Le mura della mole adriana sono addiritura curve . La fatale mancanza di peso , lo smaterializzarsi delle forme palpabili creano un senso di leggerezza , l ' impressione di sentirsi librati , in aria .Nel quadro spira una brezza che consegna respiro alle cose , che quasi sembrano cominciare a muoversi . Un ritmo strano s ' impadronisce di qeste angeliche , che non hanno più bisogno delle ali per liberarsi in volo , e cosi si dissolvono nell ' ochio del pittore . Gli angeli berniniani , con le armi Christi , sono colti in una danza il cui ritmo pervade anche tutti gli altri dipinti del ciclo . Il secondo angelo quasi accarezza la lancia in un ballo sacro , che si intensifica sino a diventare una danza estatica nell ' ultimo dipinto con il particolare della Cathedra Petri dove Sant ' Agostino non poggia la massa bronzea in terra , ma appare come in una visione , esaltato e visto da un angolo ancora più obliquo di quello del primo dipinto . Quanto sembra un gioco capriccioso , uno scherzo artistico , corrisponde a un concetto tipicamente barocco . Si tratta di un capriccio studiato e ben regolato o , per usare un termine musicale preso in prestitoda Johann Sebastian Bach , ben temperato , wohltemperiert . All ' inizio del ciclo tutto appare in movimento : mosse dall ' occhio del pittore le cose cominciano a muoversi ritmicamente. Andando con lo sguardo sul ponte, oltrepassando il Tevere, l ' andare assume il carattere musicale di un andante allegro.Il vagare diventa un vagheggiare , un partecipare e inserirsi in un movimento suggerito anche dal ritmo delle pennellate . Quanto sembrava materia , sostanza da toccare , si scioglie. La stessa architettura si manifesta sonora. Nel secondo quadro il colonnato di piazza di San Pietro assume un ritmo che va oltre l ' andante e diventa quasi un minuetto brioso e spiritato: l ' occhio comincia a volare in un vortice di luce e ombra che spinge avanti finché, nel quadro seguente, si arriva al nartecedella basilica, dove il ritmo trova sosta in una breve cadenza con la statua equestre dell ' imperatore Costantino.Teatralmente dinamizzata nella visione ad angolo , il gruppo s ' impenna; staccandosi dalla terra perde corporeità per lanciarsi in una danza visionaria. Il cancello è aperto. Il peso delle colonne ai lati sembra dissolversi grazie all ' espediente cromatico in un bluastro appena un po'più scuro di quello della cupola nel primo dipinto. L ' apertura del cielo , in una rotazione di nuvole grigio biancastre e argento sopra l ' ultimo angelo del ponte, nel terzo dipinto diventa un invasione di luce che colpisce anche le parastre a fianco delle colonne. E questa luce è ora protagonista della scena, dando materia alla figura di Cristo nel rilievo sopra la porta centrale. Qui il pittore gioca ironicamente con i mezzi artistici: il marmo del rilievo con il tema del Pasce oves meas, momento nel quale Cristo affida a Pietro la cura dei fedeli, è materia in movimento.Con il tocco del pennello, sotto l ' effetto della luce dipinta la scena scolpita comincia a vivere e ad agire. Il marmo si rivela essere una maschera che nasconde una verità viva , una rivelazione per lo sguardo artistico.Tramite la mano del pittore la luce rivela la vera luce, Cristo, e un trucco artistico diventa un atto di fede. L ' artista sa che si trova tra cielo e terra. Nel creare i suoi dipinti-visione non è più uno spettatore qualunque, bensi attore in un teatro vivo, dove lo spirito si realizza nelle cose, cosi che anch' esse possono rivelare lo spirito. Philippe Casanova sceglie un linguaggio pittorico tradizionale evitando l ' astrattismo perché solo in questo modo può dimostrare la sua posizione spirituale. Imita l ' atto divino della creazione perché anche lui si senta creato: creato a sua imagine, cioè a imagine di Dio. La genesi del ciclo si plasma sul libro della Genesi. Imitare la creazione implica imitare la creazione implica imitare le cose create, palpabili, per testimoniare che, almeno per lui, parlano ancora una lingua divina, da ascoltaree capire . Il suo pennello parla e pronuncia questa terribile parola: sia. Anch' egli soffia nelle narici un alito di vita. Sa che è un ingannatore la cui arte consiste nel dissolvere la materia per farne apparizioni, segni di una verità trascendente. Può darsi che dipingere cosi non sia più di moda, ma solo cosi può dimostrare la propria appartenenza a questo mondo dipinto. Ne fa parte, anzi ne è completamente travolto. Sule tele, passo dopo passo, ricostruisce il vasto teatro di San Pietro perché per lui la chiesa è anche edificio vivente. Dipingere cosi è un atto di fede. E quando nel quinto dipinto si entra nell ' interno della basilica, tutto diventa instabile. L ' immenso tempio assume delle misure umane: la volta a botte della navata si restringe sempre di più quando si avvicina alla crociera.Dalla cupola cade di nuovo diagonalmente la luce afferrata dal pittore, che qui trova il suo predestinato palcoscenico. Dietro il baldachino, tra le colonne tortili, è l ' ovale con la colomba dello Spirito Santo, punto focale del monumento alla Cathedra Petri nella tribuna. Ma quell' ovale è come dissolto nella luce che governa l ' illusorio spazio della tela. Qui il Teatro barocco assume gagliardamente la sua funzione: diventa una macchina in azione non solo nell ' occhio del pittore ma anche in quello dello spettatore. In questa studiatissima veduta la chiesa diventa una barcarola inebriante, spirituale, dove lo spirito si libera e regna. Per la prima volta il punto di vista si esercita da sotto in su, e si muove non più da destra a sinistra, ma viceversa. L ' asse della composizione è ruotato. La rinnovata instabilità rinforza l ' impressione che ora si fa parte di un insieme che incanta e la chiesa diventa una partitura che si esegue, e suona, e canta in un concerto di pietre vive. Si comprende come mai Casanovaresti affascinato dal Barocco e dai suoi protagonisti, Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini, cosi come da architetti, pittori e scenografi del Sei e Settecento quali Filippo Juvarra e Antonio Gherardi. Le metafore alle quali abbiamo fatto ricorso sono metafore che appatengono al linguaggio barocco.Il concetto di spazio e della sua costruzione come vuoto - in tedesco Raumgestaltung (1)- sembra troppo moderno, è un ' invenzione del secolo scorso. E innegabile che l ' effetto di Sant ' Ivo alla Sapienza di Borromini, o della Cappella Antamoro a San Gerolamo alla Carità di Filippo Juvarra creano un effetto non solo mentale, ma addirittura fisico. E per rendere visibile questo effetto Philippe Casanova sceglie la pittura. Dipingendo ricrea la ricerca dell ' artista barocco imitando non solo l ' opera compiuta, ma l ' atto stesso del creare. Si nota una somiglianza sorprendente tra gli studi preparatori di Juvarra e Bernini e un ' opera definitiva del pittore francese. Nella Biblioteca nazionale di Torino si conserva uno schizzo con un primo pensiero per la Cappella Antamoro (2). Qui, come in alcuni disegni di altri maestri barocchi, Juvarra traccia con un tratto movimentato il ritmo che vuole suggerire per l ' architettura della cappella. Anche Bernini dimostra una simile dinamicità e senso dello spazio nel disegno preparatorio conservato nella Biblioteca Nacional di Madrid per la volta della Cappella Cornaro ( 1650 ca. ) nella chiesa di Santa Maria della Vittoria ( 3). Sono solo due esempi che da soli bastebbero a dimostrare come nei dipinti di Casanova le opere barocche sono viste con la freschezza di un primo abbozzo. Nascono di nuovo. E quell' apparente rigenerazione artistica delle forme esistenti in un altro medio, cioè quello della pittura attuale, è un mezzo usato per ridare vita a un passato ancora vissuto come presente. Il trucco barocco funziona ancora, e rigenera lo spirito con cui è nato. Questo senso di assistere a qualcosa che nasce di nuovo corrisponde a sensazioni che già Virgilio Spada provava davanti alla trasformazione intrapresa, e mai portata al termine, della basilica di San Giovanni in Laterano da Francesco Borromini negli anni cinquanta del seicento. Martin Raspe cita una espressione di Spada il quale, parlando della basilica lateranense avrebbe usato il termine ' nascere ' : cosi, ' tutto l ' edificio nasce da terra con un zoccolo di bardiglia, e con una base di marmo venato, qual zoccolo di bardiglia à guisa di fascia nel riccorso per la nave di mezzo lega tutt'i tabernacoli insieme, che sono parimente di bardiglia(...) rompendo il tedio di quell' ornato bianco a maniera, che frà il vano degl' archi, il bianco de' pilastroni e il bigio de' tabernacoli ne nasce un bellissimo concerto' (4).Torna due volte la parola ' nascere'. E ancor più affascinante letterariamente, Spada usa l ' espressione ' concerto'. E quel ' concerto' di architettura è addiritura ' bellissimo'. Nella trasformazione borrominiana, San Giovanni in Laterano diventa musica, non solo per proporzioni e ritmo geometrico, ma anche in relazione all' esecuzione. Costruire diventa concertare: e il risultato visibile si trasmette come percezione quasi uditiva. L ' occhio gode quanto l ' orecchio e vede ciò che sente.L' orecchio sente ciò che l ' occhio vede. Vedere diventa udire e l ' udito vedere. Alla fine degli anni venti del Seicento, Carlo Ferrante applicava una identica metafora allorché descriveva la cupola affrescata da Giovanni Lanfranco nella chiesa di Sant' Andrea della Valle(5). Siamo nel 1627 e l ' autore si trova proprio sotto l ' affresco appena terminato. I colori fanno musica. Tutto ciò che vede sembra suonare, concertare in un ' armonioso concerto di vaga disposizione'. Più avanti Ferrante torna nuovamente sulla metafora della musica e descrive la pittura come se fosse un vero concerto di strumenti vari. Parla dello 'spazio' della cupola sopra di lui e nonobstante la scomoda posizione gli faccia fisicamente male, con lo sguardo fisso verso la cupola affrescata non può far altro che ' affissarsi a rimerare gli altissimi chori d ' Angeli l ' armonia suavissima delle cui varie melodie, et musici concerti divarij stormenti, e dolcissime voci, e di soavissimi colori radolcirà l ' affanno, che dallo stare in cotal disaggio contemplando si sostenga' (6). In fondo, tutto ciò è già un concetto agostiniano ! Per Sant' Agostino la musica era la scientia bene modulandi(7).Non solo in San Giovanni in Laterano Borromini interviene ben modulando ma anche nella chiesa di Sant' Ivo l ' architetto- come sottolineaElisabeth Kieven-'contrassegna l ' intero con un contorno fluente delle parete'. ' La struttura parietale- prosegue la Kieven- simile a una filigrana si trova soggetta e trasmesso per cosi dire nell' etere attraverso la corona fiammeggiante che conclude la lanterna'(8). Poco prima aveva parlato di una 'concezione borrominiana del tutto organica, in cui le forme piccole e grandi (...) si sviluppano in modo fisiologico come in una pianta di una medesima radice'(9). Una 'pianta' che nasce e si sviluppa in un insieme cresciuto fisiologicamente, seguendo le regole le regole della natura creata, e perciò anche divino. Paolo Portoghesi è ancora più lapidario. Borromini ' non si appaga di inseguire una bellezza astratta della forma attraverso le regole e i dogmi della lingua classica, ma considera il suo mestiere un campo di scoperte che possono arrichire la vita e accrescere la conoscenza del mondo' (10). E più bello ancora: ' In Borrominiil pensiero architettonico è nient'altro che il pensiero che tende a manifestarsi nella sua unità anche nelle forme dello spazio, il pensiero che si fa ritmo nella musica e immagine nell' arte, ma che è soprattutto parola, e non è comunquedistaccabile dal linguaggio come istituzione sociale'(11). Quando mette a confronto l ' architettura di Michelangelo e quella di Borromini, Portoghesi prosegue che'il ruolo affidato all' ordine è anzitutto quello di rappresentare un' azione, spesso addirittura di evocare un' operazione compositiva di traslazione verticale e orizzontale o di rotazione rispetto a un piano di riferimento'.Nei due architetti ' il rapporto ordine-parete come rapporto dialogico è in sostanza il mezzo specifico per rendere l ' ' arte impassibile ' dell' architettura permeabile alla espressione dei sentimenti'(12). Anche il bellissimo concerto della chiesa di Sant' Ivo è una partitura che si realizza come musica sonante . L ' udire e il vedere si spiritualizzano. Si potrebbe dire che tutta la chiesa, come nel caso della Cappella di Santa Cecilia di Antonio Gherardi a San Carlo ai Catinari ( 1700 ca. ), ' canta'(13). L ' architettura di questa cappella, dedicata a Santa Cecilia, patrona dei musici romani che qui congregavano e seppellivano i loro confratelli, canta e trova una perfetta corrispondenza tra il contenuto dell' intero programma decorativo con la sua funzione. Nella slanciata verticalità, la construzione sembra quasi una traduzione in architettura della musica che si poteva ascoltare nella chiesa, ed è strettamente legata al mondo culturale del cardinale Pietro Ottoboni, mecenate non solo di compositori e musici come Arcangelo Corelli e Alessandro Scarlatti, ma anche dell' architetto Filippo Juvarra e questi si occupava, tra l ' altro, del teatro, oggi scomparso, all' interno del palazzo della Cancelleria, dove il cardinale risiedeva. ' Raramente l ' architettura e la musica sono state integrate otticamente a formare un' unità cosi stretta come nell' allestimento di questo spazio'; la Kieven usa la parola cantare per esprimere l ' effetto che l ' architettura quasi effimera della cappella di Santa Cecilia trasmetteva al visitatore. Antonio Gherardi, cosi continua la studiosa, ' sfruttando l ' inusuale trattamento della luce (...) realizzava uno spazio-evento, un palcoscenico per l ' apoteosi di Santa Cecilia, che viene messa inscena come un avvenimento nel quale viene direttamente coinvolto ogni visitatore che si trova ad entrare in questo spazio trionfale'(14). Quando si entra nella cappella è come salire su un palcoscenico, dove il canto silenzioso e interiore della santa, o per usare una più adatta e storicamente appropriata espressione, ' il canto del cuore', d ' improviso diventa palpabile. Si sente ciò che si vede e si vede ciò che si sente. Quando suonavano i musici della Congregazione, quando si sentiva l ' esecuzione del violino di Arcangelo Corelli, la stessa musica diventavaun' architettura sonora. Sulle alidel canto tutto si trasformava in un teatro della salvezza a cui tutti partecipavano. Non solo quell' architettura, ma la stessa musica concertata realizzava quel canto nuovo di cui parlano i salmi , in particolare il Salmo 98, che è un inno escatologico. Sull' esempio di Santa Cecilia nessun fedele poteva sottrarsia quell' invito a cantare: ' Cantate al Signore un canto nuovo', cosi comincia il salmo; tutte le cose create dovevano cantare in lode del Signore: ' Acclamii al Signore tutta la terra,/ gridate, esultate con canti di gioia'. Addiritura i fiumi dovevano ' battere le mani '; ' esultino insieme le montagne davanti al Signore che viene, /che viene a giudicare la terra' e che ' giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine'. E una visione antropomorfa del mondo e per esprimerla adeguatamente si ha bisogno del corpo umano. Abolirlo significa sacrificare non solo parte di questa visione, ma anche limitarla a un sentimento. L' astrazione figurativa, cioè l ' abolire ogni riferimento alle cose create, è contraria al carattere squisitamente antropomorfo di questo mododi ragionare e toglie il fondamento a questa idea. E uno dei tanti motivi perché Casanova non chiude gli occhi dinanzialla realtà visibile. La Basilica di San Pietro è per lui una macchina che può rivelare una verità in cui crede fermamente; una macchina ancora in piena funzione. Il pittore partecipa fisicamente , e in spirito , al teatro in cui anche lui è direttamente coinvolto . Fa parte di questo spazio triomfale ; parla la stessa lingua . E la consapevolezza di questa scelta lo dimostra il sesto quadro del ciclo , con la raffigurazione del primo arcone di sinistra lungo la navata centrale , e il richiamo alle figure modellata da Andrea Bolgi nel 1648 con la rappresentazione della Chiesa , a sinistra , e della Giustizia .