Elogio dell' incostanza
Daria Galateria
La facciata delle chiese si fa ondulata; la luce crea cosi l' ombra, vibrando, e variando con l' ora; perfetta rappresentazione del mondo doppio del Seicento. Nel chiaroscuro barocco, brilla il teatro delle apparenze, sotteso dalla verità profonda, il nero dell' eterno. ' All' inizio ci fuun colpo di fulmine davanti alla fantasticheria decorativa e mobile delle chiese d' Austria, che si è fissato in durevole amore a contatto della Roma del Bernini...Cosi si nutriva un gusto costante per tutto quello che da lontano o da vicino toccava il problema del Barocco'. Non è una biografia di Philippe Casanova, che a dicianove anni, fulminato dalle chiese di Austria, è arrivato a Roma a coltivare la fulgida maniera della sua pittura d' eccezione- la citazione è l' inizio del saggio magistrale di Jean Rousset sul barocco letterario in Francia. Anche Philippe Casanova entra nelle forme concitate di quasi mezzo millenario fa, come pervaso dallo stesso vento che le increspa e le agita vanamente dentro la pompa del mondo. Non c' é ironia o distacco nella ripresa del gesto barocco; però intanto , una forte sottolineatura, un eccesso di modi. L' azione è violenta. La luce è un abbaglio sghembo; gli ori abbacinati esasperano riflessi illusori;il volo degli angeli non è estatico, sospeso alla completezza della visione divina, ma procede aspro su un moto persistente, i santi espongono i loro emblemi con insensata petulanza; e mai un essere vivente viene a turbare il silenzio di questi luoghi cavi, alti e profondi, che sono stati sacri. L' irrequietezza degli angeli e dei santi ( S. Pietro e San Matteo di San Giovanni in Laterano, Longino dal Bernini, i voli angelici nella Chiesa Nuova) sembrano procedere, in Casanova, più dalla sua originaria e dimenticata pratica del fumetto che dal dinamismo vano, secentesco, del gran teatro del mondo; è effetto della pennellata caustica e moderna- certo è un moto che non porta da nessuna parte: ma non c' é pessimismo o morale giansenista della vanitas; solo la vivacità convulsiva della bellezza, il ciclo delle ore del giorno che anima le dorature, il senso vivo di una Roma del disincanto, e la giovinezza dello sgurdo, anche, ancora stupito dalla smodata furia di oggetti d' arte mobilitata dal Secolo d' oro per richiamare all' ordine del Nulla e della Morte. Infatti, se non c' é l' ironia del postmoderno in questi interni inattuali, neanche c' é la caricha didattica del Gran Tour. Anche se si ha l' impressione che tutto sia detto, e anche i dettagli privati vengano debitamente considerati considerati- si pensi agli ambienti privati, ai palazzi patrizi, pure ripresi da Casanova- però il protagonista di quei ritratti d' interni è il venti di un passaggio improvviso e senza storia. Solo il punto di vista, che è obliquo, dichiara in modo esplicito un' intenzione. Non è tardi, e non veniamo dopo; siamo esattamente dentro a quel vortice che trasformò l' ostentazione in dubbio radicale e lo uguagliò al nulla: instabili sulla terra, e di passaggio, come si sta in un albergo- diceva il giansenista Le Maitre de Sacy, passeggiando con Pascal a Port-Royal. Rispetto alla pienezza di senso delle sculture del romano Ducros, che pure gli sono vicine nell' estro, Casanova è più inquieto e incostante- anche lui rapito, ma più turbulento. Lo studio di Casanova, aperto sul cielo di Colle Oppio, lo ancorerebbe in realtà alla Roma umbertina e impiegatizia. In un grande palazzo costruito e deliziosamente decorato nel 1895 per i dipedenti delle Poste, lo studio , dirimpetto al " Palazzo degli Ori", guarda dentro alle stanze dove il Commissario Ingravallo ancora indaga sulla morte irrisolta di Lilliana Balducci: l' ironia del Pasticciaccio gaddiano collega il piccolo mondo umbratile dei salariati dell' uno e l' altro secolo, vanamente risollevati dal brio, e il brivido, di un omicidio. Ma Casanova intende che Roma non si è mai davvero calata in quello stampo. Troppi secoli la assediano, e troppi simboli; l' al di là, continuamente annunciato, e il decoro stataleovunque reiteratola trovano diffidente. Eccola quindi che deflagra con tipico esibizionismo nelle tele e nelle tempere di Philippe Casanova, che ha modo così, su un soggetto di predilezione di rara magnificenza, di parlare dello schiacciamento del tempo, dell' impronunciabilità dei sentimenti, del gusto del vivere lungo una flànerie baudelairiana: il moderno come accorato e smagliante bric-à-brac di santi, cupole, manti, gonfaloni e acquasantiere.